Leo Strozzieri - Associazione Peschi

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Leo Strozzieri

 


I legni di Umberto Peschi

Doveroso l'omaggio che la Biennale di Fermo rende ad Umberto Peschi, il compianto maestro legato con trasporto totale al legno, materiale nobile per le tensioni energetiche che lo pervade (lignum vitae) e che ha, nel circuito teologico, una mitica sacralità; si aggiunga poi il fatto che la poesia dei legni di Peschi tende quasi esclusivamente alla verticalità, ovvero alla trascendenza.
Quella dello scultore maceratese, la cui vicenda astratta inizia negli anni '50 in quell'ambiente romano dominato dalla figura carismatica di Enrico Prampolini, dopo una significativa iniziale stagione futurista, è  una ricerca plastica, quindi visiva, però di ordine mentale, talché le regole pure del costruttivismo possedute con altissimo magistero sono asservite ad un interiore "respiro" etico-poetico dell'opera. Si vuol dire che il "segno dell'esistere" presiede ad ogni istante gli andamenti creativi, a cominciare dal ritmo binario pieno/vuoto o luce/ombra, per finire alla reiterazione del modulo in progressione ritmica e sovente segmentato da linee spezzate trasversali. Tale segno dell'esistere è scandito dalla funzione stessa, faticosa/limpida/costante, dello scavo che trova un'assimilazione analogica col metodo esplorativo psicologico dell'introspezione.
Ed è doveroso venga memorizzato questo suggerimento per la lettura esatta dei suoi legni: la costruzione "grafica" quasi, che scandisce gli elementi  plastici, pur nella sua splendida godibilità, rimane vuota di pensiero, se non integrata con il pregnante dinamismo del fraseggio che si snocciola nei solchi della coscienza del legno-vita.
Lo stesso problema del modularismo di Peschi, sul quale si sono soffermati illustri studiosi della sua opera, si sottrae dal perimetro delle ricerche strutturali degli anni '60-‘70; non è più la peregrinazione dell'arte nel regno della serialità del prodotto industriale, bensì l'adesione ad una tecnica d'indagine psicologica, assurta a livello scientifico in virtù  di leggi costanti.
Pienamente giustificate quindi recensioni dell'opera dello scultore che evidenzino l'impianto strutturale, il rigore geometrico, gli effetti luministici e la stessa praticabilità ambientale di essa, ma quale prodromo ad un discorso umanistico, quindi con quelle aperture a contenuti esistenziali, innegabili nella stessa manualità con cui quelle sculture sono state prodotte.
Testimonianze scritte di Peschi ci evocano il lavoro del tarlo il cui "viaggio nel legno è analogo al percorso dell'uomo nella vita, un itinerario quasi cieco, dove gli influssi della società e di tutto ciò  che lo circonda lasciano segni indelebili, frutto anche di decisioni giuste e sbagliate, di lotte, di paure e di speranze". Queste sue parole disegnano in profondità i ritmi sempre identici e sempre diversi della progettualità labirintica, fuor di metafora dello spirito umano entro cui senza clamore ha cercato d'introdursi a nome della collettività distratta lo xilofago Peschi.

Leo Strozzieri

dal Catalogo della III Biennale Nazionale di Arte Sacra, Fermo, luglio-agosto 1996

 
 
 
 
 
 
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