Giuseppe Appella - Associazione Peschi

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Giuseppe Appella

 


Umberto Peschi: tra opera e visione

La terra: avida scorza, fiumi,
perle d'acqua, ali, attenti. Un'improvvisa
resistenza di grate in legno.
(Sebastiano Carta)

Fin dal primo momento, come capita agli scultori che esprimendo una scelta si ritagliano una fisionomia, la posizione di Umberto Peschi nella cultura storico-artistica è trasversale. Il futurista Monachesi, del 1937-1938, intagliato in legno di noce durante il periodo trascorso a Roma, mette in luce i suoi interessi formali ed espressivi senza accrescere la varietà dei materiali usati, anzi lo consolida nella convinzione che l'ammirazione per l'antica arte cananea e fenicia, su cui innesterà l'esperienza futurista, non si trasformerà in un modello puro e semplice da imitare solo se sarà la sgorbia a muoversi sulle assi di ciliegio, di pioppo, di tiglio, di acacia, di faggio, di ancetà, di framirè, di padouk, di tek. L'elenco dei legni usati nel corso degli anni, arricchitosi a partire dal 1952, è anche l'inventario delle ragioni remote delle sue ricerche di linguaggio, del rapporto con i prototipi con i quali pensa di dover fare i conti, delle ragioni che muovono la prima abitudine a levigare la sensibile epidermide delle tavole che solo in un secondo tempo conserveranno, alterneranno o saranno animate da intagli e rilievi e da una grana spessa e porosa, aspra e corrosa. Questi rapidi dati tecnici sono lo stile dell'opera di Peschi che da barbarico si fa figurativo con fluidità melodiche, realista con interessi sociali e vagamente populisti, attento alle soluzioni delle avanguardie, sulla linea diretta futurismo-costruttivismo, sempre affondando le radici in una lontana tradizione artigianale da far rivivere e rifiorire per frenare un certo rischio dell'eloquenza, tipico dei suoi anni giovani,
e per contenere la ricchezza di impulsi che, accanto a Monachesi prima, a Prampolini poi, l'animano e minacciano di esplodere. Eccolo, allora, centrare l'immagine intorno a un singolo elemento (Maternità, 1946), che ne assecondi la costruzione ottica piuttosto che grafica, e la restituisca come visione. Tre elementi incrociati, del 1952, è l'esempio più diretto del radicale mutamento di linguaggio manifestatosi in Peschi che, per almeno tre lustri, si era mosso su temi che partivano dagli abituali riferimenti, comuni a tante opere di quegli anni (Nudo, Pagliaccio, Figura, Atleta, Bagnante, Suora, Suonatore di fisarmonica). Severità di concezione e purezza di disegno, armonia di proporzioni e cadenza perfetta dei rapporti che collegano tra loro le varie parti di una scultura, da questo momento carica di una realtà non dedotta dalla realtà naturale, diventano il vero rifugio per affrontare, al limite della freddezza, l'articolazione di taglienti piani geometrici e una molteplicità di aspetti corrispondenti ad altrettanti schemi mentali che, elaborando minuziosamente l'equilibrio tra intelletto e sensi, tra ragione e istinto, calcolano e distribuiscono i volumi nell'intera massa, preferibilmente verticale, librata nello spazio e, piccola o grande che sia, con una costante tensio¬ne al monumentale.
Il riflesso, immediato, di tali cambiamenti (che la dicono lunga sui reali aggiornamenti di Peschi, da Cercle et Carré ad Abstraction-Création, da Prampolini a Herbin, da Archipenko a Vantongerloo, da Gabo a Moholy-Nagy) è nei titoli delle opere che diventano ritmi di danza, costruzioni, bassorilievi, piani inclinati od obliqui e, infine, moduli componibili, divisibili, ascendenti, stratificati, interrotti, corrosi, secondo un preciso e coerente vocabolario. Gli aggettivi, scelti da Peschi che vi insinua un chiaro esempio di sintesi scultura-architettura e una probabile rinuncia alle tradizionali facoltà inventi¬ve, mimano l'opera sotterranea del tarlo, seguono le inflessioni inattese delle forme, leggere e slanciate, basandosi su fattori sostanziali quali lo spazio e il tempo, e, come è dei caratteri laconici, usando solo mezzi indispensabili, senza compiacenze, eliminando ogni elemento ritenuto superfluo. A tutt'oggi, a parte alcuni stralci da conversazioni, non sembrano esistere testi teorici di Peschi che met¬tano in evidenza il valore descrittivo della linea nel periodo figurativo Oasi di pace, 1938; Figura e Nudo di donna che cammina, 1947) e, nel secondo momento, l'accettazione della linea come indicatrice di forze e di consonanze proprie degli oggetti Divisibile con piani obliqui, 1963; Interno-esterno con lacerazioni - Metà colonna - Divisibilità in verticale, 1964). In questo caso, la verticalità o la profondità, insieme alla trasparenza, che le perforazioni del legno e i vuoti tra gli incastri dei tasselli surrogano facendovi passare liberamente la luce e l'aria, si sostituiscono ai volumi, considerati inidonei a rendere la misura dello spazio impenetrabile. Non più ritmi statici, soppiantati definitivamente da ritmi cinetici sincopati, costruiti con scansioni misurate, con movimenti simultanei, ora in opposizione ora in combinazione di lamine lignee tagliate, accostate o sovrapposte (Interrotto al centro, 1964), di losanghe essenziali nell'amplificare i riflessi luminosi (Bassorilievo, 1958) e nel tradurre la nozione di tempo attraverso la moltiplicazione e l'articolazione dei rapporti di piani (Modulo sensibile ascensionale, 1965), a volte ricoperti di rame (Il tarlo, 1957), o di linee tracciate dal ferro nello spazio (Pinocchio, 1956). Lo spazio, dunque, resta fondamentale nell'opera di Peschi, tanto che i profili esterni delle forme, le con¬crezioni prismatiche e parallelepipede, a partire da Divisibile interrotto, del 1959, si oppongono ai pro-
fili interni con rigorosa simmetria e una finitezza e sottigliezza di dettagli che non rischiano l'enfasi di cui parlava Prampolini. La fusione della scultura nello spazio si avvale anche di tali vibrazioni, rese possibili da una matematica esattezza strutturale che prolunga il movimento all'interno dell'opera, al di là del modulo preordinato. Questi passaggi, che sollecitano la forma plastica ad acquisire una visuale mobilità, sono accompagnati da rinnovati procedimenti tecnici che tolgono alla ricerca la propria autonomia rendendola più problematica. Il taglio meccanico sostituisce la sgorbia, l'estro dell'invenzione e la gratificazione del lavoro fatto a mano; il modulo si ingrandisce, affronta l'elemento sferico (Sfera, 1989) e la tecnologia indu¬striale. Percezione e reazione sensoriale si preparano, in Peschi, a scontrarsi con il pensiero matematico, mondo soggettivo e mondo oggettivo a porsi come dilemma.
"La scultura deve far vivere gli oggetti, rendendo sensibile, sistematico e plastico il loro prolungamento nello spazio", scrive Boccioni. Settant'anni dopo, la lezione futurista è ancora viva in Peschi che, abituato a tener conto anche delle nozioni pratiche, a far convivere sensibilità e pensiero razionale, non si chiede se l'arte è un prolungamento della scienza ma certo ambisce a una maggiore integrazione della scultura nell'architettura per esaltare l'immagine, impegnarla come visione potenziandola nella sua carica dinamica. Infatti, la forma-forza supera la linea-forza mutuando dalla natura le proprie simmetrie. Non poteva essere altrimenti, a meno di non immettersi in una morfologia oggettuale, nella geometria dell'asimmetrico che avrebbe tolto a Peschi la possibilità di sfruttare diversamente l'e¬sperienza empirica, il piacere di veder nascere le sue opere nello studio di via Lauro Rossi.

Giuseppe Appella


Da UMBERTO PESCHI, OPERE 1930-1992, Catalogo della Mostra tenuta a Macerata, chiesa di San Paolo dal 17 luglio al 12 ottobre 2004, a cura di Paola Ballesi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, Milano, 2004


 
 
 
 
 
 
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