Alvaro Valentini - Associazione Peschi

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Alvaro Valentini

 


Umberto Peschi, la poetica del tarlo
D'amplesso cosmico l'alba della vita. Sin d'allora l'uomo ha cercato all'intorno e nel suo essere il segno della creazione. Ancor oggi, alle soglie del Duemila, l'anabasi continua. La realtà naturale ed umana si svela a poco a poco, come per una sorta di nemesi storica. Il viaggio intorno all'universo resta avvolto in un alone di fascino e di mistero. Ma l'ansia di verità attanaglia l'uomo: lo stimola, lo rode, passo dopo passo, inesorabilmente, con la stessa insistente azione che il «tarlo» porta alle fibre del legno. Su questi versanti è racchiuso il segreto della ricerca, suggestiva e profonda come l'infinito. E il sogno ideale continua senza soste, nel sigillo di nuove esperienze, nel segno ammaliante del futuro. In questo universo plastico e formale s'inserisce la vicenda artistica di Umberto Peschi, che nella scultura ha trovato lo scopo della vita. Una scelta unica, limpida e coerente, tutta imperniata sul febbrile lavoro che esprime un'anima in costante tensione creativa. Peschi (non sfugga la sua ritrosìa, né la probità dei costumi) è rimasto sempre intimamente legato alla terra natìa, Macerata, seppure abbia viaggiato molto, conosciuto mondi diversi, perseguito molteplici esperienze. La sua storia racchiude le tappe salienti dell'arte degli ultimi 50 anni, in un susseguirsi di fermenti culturali di respiro europeo che lo hanno visto sempre in primo piano, tra i protagonisti dell'arte contemporanea. Sin dagli albori egli ha operato con intuito ed estro creativo, mai disgiunto da quella libertà di espressione che lo ha portato ad ampliare il campo delle vedute, a filtrare gli accadimenti, a formulare un linguaggio, autonomo ed originale. «L'arte precorre i tempi della civiltà contemporanea», è solito affermare, e in questa verità di fondo è racchiuso il segreto della scelta estetica perseguita con coraggio e rigore morale, nella direzione di un'unica matrice, di ascendenza futurista, un nucleo attivo in continuo movimento, foriero di speranze e sperimentazioni. Con tutto il retaggio di una sapiente manualità protesa oltre la «siepe» del contingente. Verso l'astrazione della materia. Nella sintesi della forma e dei volumi. La sobrietà delle linee, il gioco dinamico fra vuoti e pieni, l'equilibrio fra spazio e volume, il nitore di certe soluzioni astratto-costruttive, la consunzione della materia sotto l’azione corrosiva del «tarlo» -emblema simbolo delle sue opere -costituiscono il patrimonio plastico e formale di un'arte intensamente senti a livello mentale, di una visione filtrata della realtà naturale ed umana, svincolata dai canali tradizionali, lontana dal clima imitativo del concreto e pulsante di una razionalità illuminata, di una logica conclamata, di una fantasia creativa proiettata lungo l'asse esistenziale del mutamento eracliteo. Una sintesi, la sua, dell'elemento plastico e dell'energia vitale del pensiero che la materia promana, i legni scolpiti trasudano, le fibre interne scandiscono secondo cicli vitali ricorrenti; un'arte in divenire, tesa alla conquista di spazi e atmosfere, "reclinata" verso le parti interne della materia in una indagine insistita sulle cause e concause di quei tagli prospettici, di quelle profonde cavità, di quei vuoti enigmatici, segnati da differenti fasi temporali e misurati da una graduale tessitura modulare che all'osservazione diventa contrappunto musicale e poesia intima dell'essere e dell'universo. La "ricostruzione futurista dell'universo" era già stato uno dei manifesti mitici del neo-movimento futurista riapparso nel 1915 ad opera di Balla e Depero. E a Roma, nel 1937 , lo scultore maceratese aveva avuto modo di prendere coscienza della poetica neofuturista per un'arte nuova, adeguata ai tempi, basata sulla sintesi dei concetti di dinamismo e concettualità, sullo sviluppo della ricerca volumetrica e spaziale, sull'unità del tempo e dello spazio. Il sodalizio con Marinetti, l'ideologo del futurismo, lo aveva oramai contagiato. In Europa era tutto un fermento di idee e di proposte, e il dibattito culturale si apriva a nuovi spazi ed ampi orizzonti. In questo clima, denso di novità e suggestioni, Peschi si accosta alle opere di Boccioni, ne subisce il fascino, ne assapora gli esiti. Lo elegge a suo maestro. Lo scultore maceratese entra nel ristretto cerchio degli artisti di avanguardia e partecipa alle più importanti esposizioni nazionali e internazionali. Balla lo stima, Pannaggi lo sostiene, Prampolini lo coinvolge nel movimento futurista e gli apre il suo studio. Depero, che aveva intuito le potenzialità espressive del giovane scultore venuto dalle Marche, inneggia all'"Intagliatore dello spazio che ha plasmato nel legno l'onda del vento e del pensiero" . Il periodo romano si rivela per la formazione di Peschi ricco di preziosi, stimolanti contributi. In quegli anni vengono alla luce opere importanti, composizioni fantastiche e in parte visionarie che sembrano legare per alcune affinità segrete il futurismo al surrealismo italiano. A questa felice fase creativa risale Potenza di forze simultanee, 1937, aeroscultura in legno, che costruita nella velocità e nel dinamismo esalta il senso unitario e cosmologico della composizione. L'apertura all'immaginario sfocerà negli Aeroritratti di aviatori (sei in tutto), visualizzati come altrettanti "alberi mitici e vivi, degli esseri protesi" alla simbiosi fra terra e cielo. Seguiranno opere pregevolissime come Oasi di pace e il Paracadutista. Peschi utilizza il legno grezzo, giocando sul contrasto e sul valore simbolico della materia. Sono anni ruggenti, "ferocemente contesi alla povertà, ma densi di grandi suggestioni", scriverà in seguito l'artista. A Roma vive in comunione d'intenti con un altro grande maceratese Bruno Tano, artista fra i più geniali, che sarà poi il fervente animatore dello storico «Gruppo Boccioni», un gruppo omogeneo composto da artisti di talento che attraverso una solida coscienza critica seppero tracciare le basi per il cosiddetto «secondo futurismo italiano». In questo ambiente culturale si afferma la vocazione artistica di Peschi, una scelta etica, sacra per lui come un alto magistero. La sua sarà una scelta coraggiosa, antinaturalista e antiromantica, volta verso la stilizzazione delle forme e dei volumi, una linea espressiva tesa a forme impersonali, metodiche, che nulla hanno di ripetitivo nell'armonioso loro evolversi, nella progressiva, sistematica enucleazione della materia, che purificata di ogni estetismo, s'inserisce nelle successive esperienze astratto-costruttive, secondo rimandi plastici di fulgida rivelazione, non privi di quella partecipazione emotiva che si sviluppa liricamente nel dualismo conflittuale tra spazio e tempo, tra materia e spirito, tra logica e azione, tra costrizione e libertà. Peschi ha abbandonato ben presto la concezione della forma come superficie compatta, come blocco senza fenditure, iniziando quello smantellamento della forma che il cubismo aveva tracciato per l'evoluzione della scultura. E nella ripetizione e compenetrazione di elementi base egli accentua la dialettica interna delle superfici e dei volumi, creando articolazioni modulate capaci di fondere l'elemento scultoreo e l'elemento architettonico, in una visione d'insieme che nulla toglie alla definizione netta dei contorni e alla tensione variabile del loro contrapporsi. Umberto Peschi visse intensamente quel periodo. Uscito dalla Scuola di Tirocinio, nel 1933 fece i suoi primi intagli a Pollenza nel laboratorio-scuola Gattucci, dove stile e creatività si coniugano con una manualità antica (3). Di questa esperienza l'artista nutre ancor oggi memorie mitiche. In questo ambiente, segnato dal duro lavoro e da una fede muta, inizia la ricerca artistica sul versante figurativo: la «mano» del creatore di forme e di volumi si armonizza con morfologie sapientemente calibrate già dischiuse alle innovanti linee espressive che sentiva prorompenti nell'animo. Quindi, sotto gli influssi del vento innovatore che Marinetti soffiava sul mondo e sulla tradizione, nel 1936 approda all'aeroscultura con opere di grande interesse critico-storico. Sono anni di intensa attività che sfoceranno in affermazioni di prestigio. Lo scultore sarà infatti più volte presente alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma. Terminata la guerra, Peschi ritorna per un breve periodo -anni 1942/ '44 -alla visione del reale, anche a causa della crisi in cui cade in quel periodo il movimento futurista. «Quando mi accorsi che le mie sculture andavano a ruba, feci marcia indietro» -dichiara -ed inizia di nuovo per lui quella lunga, paziente ricerca su spazi e volumi e sul divenire continuo della materia corrosa dal «tarlo», esperienza che ancor oggi non ritiene conclusa. Tramontata la fase d'involuzione figurativa, peraltro debitrice della lezione di Arturo Martini, artista straordinario e di una libertà assoluta, l'autore gradualmente perviene all'area astratto-costruttiva che gli era fortemente congeniale per formazione culturale e scelta ideologica. D'altro canto, le premesse di questa sua svolta stilistica erano già insite in numerosi studi e disegni elaborati contestualmente con l'adesione al movimento futurista. In questo contesto significativa è la sua partecipazione nel 1952 alla Via Mostra dell' Art Club, a Roma, presso la Galleria Nazionale d' Arte Moderna. Non meno importanti le numerose esposizioni alla Galleria Numero di Firenze, esperienze che denotano l'inclinazione di Peschi verso le soluzioni astratte, anche se in lui ritorna, di volta in volta, l'impulso primigenio per la leggiadrìa plastica e gli effetti virtuosistici rilevabili in alcuni bassorilievi degli anni cinquanta. Ma il dibattito c1:1lturale, il confronto con le ricerche europee più avanzate, il retaggio dei valori ereditato da Boccioni, Prampolini e Tano, la profonda amicizia con Licini, le intuizioni illuminanti di Pannaggi lo conducono alla completa definizione del linguaggio plastico, teso ad una più marcata autonomia operativa. Gli anni sessanta si riveleranno determinanti per il suo nuovo indi- rizzo astratto-costruttivo. La personale a Vienna, ne11963, confermerà questa definitiva svolta. In questo universo si afferma la sua poetica protesa verso la costruzione articolata dei volumi, liberi nella tensione spaziale, esaltati dalle armonie che si sviluppano libere lungo gli assi ascensionali e negli incavi, profondi e contrapposti, della materia. Il modulo ripetuto, in rapporti sincopati di sublimazione geometrica (il cerchio, il triangolo, il quadrato e altre forme), proietta le strutture di Peschi in una dimensione atmosferica, dove l'impatto emotivo prende corpo e si stabilizza in una nomenclatura plastica, in cui ogni elemento è carico di suggestione. Ogni variante diventa allora musica dello spazio, ogni ritmo magica poesia. E nell'incastro delle componenti strutturali si manifesta come per incanto l'armonia plastica delle soluzioni, secondo una dialettica dinamica che agisce sia all'esterno, sia in superficie e che penetra anche all'interno delle fibre più intime, in spazi ristretti, concatenati, in cavità e buchi inesplicabili, capaci di trasformarsi in altrettanti mondi e nuclei attivi, dove la sollecitazione ambientale e psicologica si fa più pressante, dove si ritrova l'equilibrio sostanzia- le della struttura, l'essenza stessa e l'«anima delle cose». Ovvero l'altra dimensione, che un tempo fu, domani sarà, nella congiunzione estrema fra materia e spirito, fra pensiero e azione, fra il principio e la fine. In quello spazio ideale dove è racchiuso il segreto stesso dell'esistenza. E dell'eternità. Sin dagli albori la ricerca linguistica di Peschi si sviluppa nel rapporto intimo con la materia. Nel suo lavoro usa vari materiali (raramente il bronzo e il marmo) ma predilige il legno per i mirabili effetti luministici con lo spazio-ambiente, per il calore-colore delle superfici trattate, per la nobiltà della vita vissuta in natura, per le molteplici varietà delle soluzioni plastiche. Un materiale caldo, duttile, sinuoso, sempre diverso per consistenza e porosità, sempre suggestivo nei suoi nodi, nelle infinite venature, nelle fibre intime che al tatto chiedono di parlare. Il legno si offre spontaneamente al colpo di sgorbia o di scalpello ma vieta il «tradimento» .Prima di ogni «violenza» ha bisogno di essere studiato, palpato, corteggiato come fosse una donna. Superato l'approccio iniziale, una fase simile all'«innamoramento», la massa grezza svela docilmente la sua intimità e i suoi segreti, assecondando il volere e la capacità demiurgica del creatore di forme e di volumi, dell'architetto di composizioni solcate da linee forza e linee pensiero, in una visione simbolica della realtà protesa alla sintesi fra linea estetica, con- tenuto dialettico e autonomia plastica. In questa luce il materiale trattato -un medium accattivante - diventa impronta di vita e simbolo di verità. Le stesse sculture componibili ad incastro, per lo più in verticale, denotano la propensione dell'autore ad operare con razionalità e rigore geometrico secondo assemblaggi che sprigionano articolazioni modulate e ritmi spaziali, non privi di suggestione emotiva per il senso di fascino e di mistero che ogni «corpo» contiene. Il pulsare dei piani, la tessitura di vuoti e pieni, le ambivalenze modulari, la corrosione degli elementi percorsi dal «tarlo» (un tarlo che è parte integrante della materia e quindi di ogni scultura) enucleano un alternarsi di condizioni interne ed esterne, che mutano registro, luce e pertinenza ad ogni cambio di prospettiva, ad ogni variare d'atmosfera. Peschi, abile nel- l'intreccio e nell'incastro, costruisce le sculture con assemblaggi o spirali, giocando con le linee oblique o spezzate, con le forme aperte o chiuse, secondo valori dinamici ed emotivi che gli sono congeniali, anche se la Colonna senza fine di Brancusi o le architetture di Sant'Elia hanno in qualche modo influenzato la sua scelta. L'artista affronta i temi plastici con naturalezza e metodo, insistendo sulle scansioni ritmiche ascensionali dei parallelepididi a base per lo più quadrata e rettangolare. Meno frequentemente insiste sulle strutture solide a base cilindrica, dove gli elementi sembrano racchiudersi in se stessi per suscitare un maggiore interesse per le zone interne, o su quelle Composizioni a base orizzontale dove il fraseggio delle linee ascendenti e discendenti si coniuga perfettamente con l'armoniosa sequenza dei fori, invasi da un raggio di luce, sublimati dalle vibrazioni ritmiche della superficie, in una trascrizione musicale del tempo. Negli ultimi anni l'invenzione creativa lo ha portato a produrre anche con l'asciutto linguaggio del filo di ferro: Composizioni semplici e esenziali, che appaiono sospese nello Spazio Come piccole antenne pronte a captare i messaggi dell'universo. Non meno interessanti sono le sculture di grandi dimensioni (in ferro o in legno) dove la fantasia dell'arti- sta denota un accentuato vitalismo. La complessità dei volumi, la prorompente forza espressiva, la maggiore presa con lo spazio-ambiente vengono ad esaltare l'aspetto avveniristico della materia, in un gioCo altamente tecnologico teso alla conquista dello spazio. Nelle varianti del suo lavoro lo sviluppo modulare e ritmico non è mai omologo o simmetrico ma scandisce forme e spazi sempre nuovi e diversi, in una miriade di configurazioni e nuclei energetici, dove la luce, assorbita e respinta dall'intrecciarsi dei piani, dall'alternarsi di vuoti e pieni produce mirabili effetti luministici e pittorici nonché una dialettica dinamica, stimolante e evocativa, densa di grande suggestione. Come per una sinfonia spaziale. Le strutture modulari di Peschi si caratterizzano da anni per la presenza del «tarlo» , una presenza viva, talvolta immaginaria, ma sempre importante, genetica direi, che aveva fatto capolino già nei primi bassorilievi e nei disegni degli anni trenta. E' una tematica apparentemente semplice, la cui attenta lettura pone all'uomo seri problemi filosofico-esistenziali. Le sue sculture traggono forza e significato dalla presenza di questo «insetto larvale» che rode, divora, scava gallerie, distrugge la materia. Un processo lento, continuo, inesorabile. L'azione demolitrice del tarlo segna il divenire e la fine della materia: per consunzione, annullamento. La vita dell'uno (il tarlo) è la morte dell'altro (la materia). Principio e fine sono i poli estremi di un unico destino. Nella concezione psico-esistenziale di Peschi la metafora poetica diventa riflesso dell'essere e dell'universo: il tarlo scava nella coscienza umana, altera i valori della vita. Essa pone all'uomo il senso del limite, il confine ultimo oltre il quale vi è la distruzione, il nulla. Dall'opera di Peschi sale questo messaggio: una rivelazione, fulgida come un'antica profezia, che coinvolge il mondo l'umanità, la vita. Un messaggio ideale chiaramente rilevabile in ogni legno, in ogni scultura, dove continua senza soste, ieri come oggi, il «percorso del tarlo», in un gioco ricorrente di ritmi dinamici e spaziali, nell'alternarsi dell'alba e del tramonto della vita. La profondità degli incavi, le fughe verso spazi siderali, il movimento virtuale delle linee forza, il gioco luministico della composizione vengono ad esaltare le valenze intimistiche della materia e la lievitazione poetica dello spirito. Nella visione simbolica della realtà. Nel segno di una nuova dimensione.

Alvaro Valentini


Dal catalogo Umberto Peschi, sculture, “La poetica del tarlo”, della mostra antologica nella Sala Consiliare del Comune di Pollenza, settembre-ottobre 1989

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Umberto Peschi: l'uomo, lo scultore

"È la coscienza etica che caratterizza l'artista" (MONTHERWEL)

Il portone, sulla piazzuola Lauro Rossi, è chiuso come una volta, quando suonavi il campanello e lui tra le persiane socchiuse faceva capolino per poi scendere lungo le ripide scale e darti il benvenuto sulla soglia della sua casa-laboratorio, posta a pochi passi dallo Sferisterio e da quella grande sfera in ferro che da quando è lì sembra inglobare l'animo dell'intera città. Il campanello suona ancora, ma lui non fa più capolino. Se n'è andato un'uggiosa domenica d'autunno, il 15 novembre 1992, dopo breve malattia. Da allora anche i colombi, che gli volteggiavano intorno, infiltrandosi dalla finestra dell'abbaino, sono emigrati verso nuovi spazi d'azzurro. La sua casa-bottega è ancora lì, ricolma di memorie, carteggi, sculture. Come dimenticare gli incontri nell'austero studio-soggiorno, con tutte quelle pubblicazioni, le lettere scambiate con l'altro grande artista maceratese Bruno Tano, i pressanti inviti di Prampolini che lo voleva a Roma, i tanti disegni degli anni '30 e '40, accuratamente custoditi in un album, le insistenti prove sul percorso del «tarlo», i modellini in filo di ferro o in cartone così fantasiosi, le sculture in legno appena abbozzate e ammassate in un angolo, ma già così armoniose nella struttura plastica e spaziale. Ancor oggi, se tendi l'orecchio, par di sentire sulla via i colpi di sgorbia e di scalpello portati con melodiosa cadenza sul legno informe. Una casa suggestiva, una bottega mitica che deve essere recuperata alla memoria e alla cultura. Umberto Peschi per quasi mezzo secolo è stato protagonista di primo piano dell'arte contemporanea, sempre pronto a carpire il nuovo, a incatenare la luce, a interpretare con geniale intuizione e sorprendente manualità "artigiana" lo scorrere del tempo, l'armonia della forma, la poesia dell'universo.
Se n'è andato in silenzio, come aveva vissuto, lontano dai clamori, parco di costumi, geloso custode di quel rigore morale che lo aveva plasmato nascendo. La sua stagione artistica è continuata fino alla fine con stupefacente vitalità e ogni periodo creativo segna un momento significativo di una investigazione plastica vissuta con febbrile intensità e viva partecipazione. Una dedizione all'arte completa la sua, una scelta di vita limpida e coerente, sacra come un alto magistero. E in lui, mai un momento di stasi o di ripensamento, tanto intenso è stato il suo lavoro, tanto radicato nella sua mente il senso ludico dell'invenzione e dell'astrazione costruttiva. Una ricerca perennemente fantastica che lo ha portato a calarsi nella materia, sino a cavarvi l'anima, con quel suo «tarlo» inesorabile che rode e disegna, annulla e costruisce in un continuo rifiorire di nuove strutture e forme dinamiche. Con la sua arte Peschi ha segnato un'epoca. Dagli esordi plastici figurativi alle esperienze dell'aeroscultura, dalle spirali ritmicamente intrecciate alle architetture modulari, il suo fervido operare è stato tutto un continuo rincorrersi lungo l'asse di una creatività che supera il contingente, proiettando l'immaginario collettivo in una dimensione quasi magica, dove spazio e tempo si annullano per immergersi in realtà mentalmente sospese, in universi ciclicamente sorgivi. Secondo una valenza di pura immaginazione che ingloba la realtà e il divenire, la materia e lo spirito, nella simbiosi estrema dell'assenza-essenza, nella tessitura modulare di vuoti e pieni, nell'incidenza poetica della luce. Sin dagli albori, legati allo storico Gruppo Boccioni, da cui prenderà il via il «Secondo Futurismo», la ricerca linguistica di Peschi si è sviluppata nel rapporto intimo con la materia. E fra i materiali ha scelto il legno per i mirabili effetti luministici con lo spazio ambiente, per il calore-colore delle superfici trattate, per la nobiltà della vita vissuta in natura, per le molteplici varietà delle soluzioni formali. Il legno -lo ricordava spesso -si offre spontaneamente al colpo di sgorbia o di scalpello ma vieta il tradimento. Prima di ogni "violenza" ha bisogno di essere studiato, palpato, corteggiato. Superato l'approccio iniziale, una fase simile all'innamoramento, la massa grezza, sempre calda, duttile, sinuosa, svela dolcemente la sua intimità e i suoi segreti, assecondando il volere e la capacità demiurgica del creatore di forme e di volumi, dell'architetto di composizioni solcate da linee forza e linee di pensiero, in una sintesi morfologica e plastica di grande respiro dialettico con lo spazio e l'ambiente. In questa articolazione, permeata da un calibrato ordine logico e da innovanti soluzioni formali di chiara matrice futurista, il legno trattato - un medium suggestivo e accattivante per Peschi -diventa impronta di vita, simbolo di verità, lievitazione poetica dello spirito. Pur avendo frequentato gli studi, lo scultore maceratese si è formato praticamente da solo, filtrando gli eventi, precorrendo i tempi, operando con intuito e libertà di espressione, trovando infine nel proprio intimo un linguaggio autonomo ed originale legato al «percorso del tarlo», un nucleo attivo in continuo divenire che scandisce l'alba e il tramonto della vita. Umberto Peschi non è stato un artista qualsiasi. Non inganni la sua umiltà e la sua ritrosìa, il suo modo di vivere come un bohèmien ma senza anticonformismo, il suo apparire dimesso, quasi distaccato. In lui ardeva il sacro fuoco dell'arte, la passione per ogni forma espressiva, per ogni realtà che stimolasse il pensiero e la fantasia. Questi connotati peculiari della sua personalità e la purezza del suo animo ne fanno un artista straordinario per senso etico, freschezza inventiva, equilibrio formale. La sua arte, pulsante di lucida razionalità costruttiva e di magico stupore, ci appare, oggi più che mai, come il frutto di uno straordinario ricorrente gioco, coinvolgente I'universo-uomo e lo spazio infinito, un gioco fantastico portato avanti con il candore appassionato del neofita, con l'intuizione illuminata del "faber" che plasma e trasforma la materia. Umberto Peschi, l'ultimo vero futurista, ovvero «l'intagliatore che ha plasmato nel legno l'onda del vento e del pensiero», come lo ha definito l'amico Depero, ci lascia una grande lezione di coerenza umana ed artistica. Alla sua città natale e a quanti apprezzano la sua opera il compito di non disperdere un così alto patrimonio di cultura e di valori. Lo merita la sua leggendaria, esemplare esistenza, il suo itinerario di grande scultore.

Alvaro Valentini


Dal catalogo della mostra I segni della memoria – Omaggio di 150 artisti al Maestro Umberto Peschi, Pollenza, dicembre 1993-gennaio 1994


 
 
 
 
 
 
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