Antologia critica - Lucio Del Gobbo - Associazione Peschi

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Antologia critica - Lucio Del Gobbo

Umberto Peschi

I DISEGNI DI UMBERTO PESCHI

Umberto Peschi ha sempre amato il lavoro, con umiltà  di artigiano, consapevole però  delle proprie doti di inventiva e della propria capacità  di esprimersi attraverso le forme; un artigiano illuminato che ha avuto dalla Provvidenza qualche dono in più : questo egli pensava e confidava agli amici più  intimi con grande modestia.
Il lavoro artistico gli ha sempre procurato un grande piacere; manipolare la materia, darle foggia, specialmente al legno, inventare forme, situazioni, oggetti è  sempre stato per lui un intenso "divertimento": è  questa la parola che meglio esprime quella sensazione di gioia che Peschi dimostrava di provare lavorando.
La naturalezza di questo approccio con la materia ed il lavoro, la capacità  intellettuale ed il talento posseduti e dimostrati in ogni circostanza, hanno sempre propiziato per lui quel "miracolo" che è  proprio dell'arte, di esprimere, attraverso il lavoro e l'invenzione, sensazioni  profonde, pensieri originali ed intui¬zioni poetiche.  
Peschi ha evitato la retorica ; la consistenza del suo lavoro lo ha messo al sicuro in questo senso, gli ha consentito di non ricorrere per esprimersi, a un'eccessiva enfasi e ad espedienti estranei all' autentico lavoro artistico.
E' difficile in questi momenti considerare la portata della sua vicenda creativa, ed improprio disquisirne. Ma esistono le opere e i numerosi documenti che ne testimoniano la storia e l'impegno: le lettere, i cataloghi, i libri, gli appunti che egli ha conser¬vato gelosamente; tutto quel materiale affascinante per un appas¬sionato d'arte, che egli amava riguardare ogni sera, centellinan¬dolo nella solitudine della sua casa, anch'essa luogo di ricordi e di affetti.
Rileggeva le sue carte, anche in presenza di amici che invitava a trattenersi con lui, e la conversazione era sempre così  aperta e piacevole che l'invito non poteva che essere gradito; sfogliava quelle carte non certo per celebrarsi, ma per ripercorrere con piacere, e certamente con nostalgia, tante esperienze passate: per ricordare gli amici, per avere un'idea equilibrata, oggetti¬va, delle situazioni e dei valori.
L'ansia di conservare il passato, di protrarne gli effetti, è  tipica dell'autentico artista. Peschi ne ha avuta evidentissima, specie in vecchiaia; un'ansia tenerissima, piena di umanità  e di poesia.
Tutto questo contemporaneamente al lavoro diuturno che gli procurava ugualmente ansie e tensione. Un lavoro che tralasciava ogni considerazione venale ed opportunistica: una ricerca pura, solo finalizzata alla forma e all'espressione.
L'ultima serie di sculture; il piacere di esporle; la fretta, il timore di non fare in tempo, sono ricordi vivi in chi lo seguiva con assiduità ; come è  viva è  la sensazione della sua allegria: quella serenità  limpida, quasi infantile, che appare oggi, la sua  espressione più  vera e rappresentativa.

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Quella  del disegno è una storia a sé‚ all'interno  della  vicenda creativa  di Umberto Peschi. Una storia che ha poco a che  vedere con le esigenze progettuali che solitamente si associano  all'attività scultorea. Una storia iniziata quando la mano  di  Peschi s'era  già a lungo esercitata ed irrobustita col legno: una  mano forte,  da artigiano, a servizio di una mente disposta  continuamente  a  fantasticare e a riflettere attraverso  l'ideazione  di forme che potessero incarnare con adeguatezza tale lavorio intellettuale  e poetico; che fossero espressive e belle  allo  stesso tempo.  La mano di un artigiano toccato dalla grazia e da  questa portato ad un'alta nobiltà: quella del demiurgo ordinatore  della materia informe verso un'immagine di realtà ideale.
Ebbene,  il disegno, coesistito a lungo con l'attività scultorea sotto  forma di progetto ( un disegno da non considerare,  almeno per  l'autore, se non come necessità, ad uso e modo di un  lavoro di  scavo o di modellazione altrimenti non valutabile a  priori), in un momento, quasi "per illuminazione", si rivela come strumento  autonomo di indagine  e d'espressione. Domanda allo  scultore
una  sua fetta di energia da resecarsi sulla rudezza (se così  si può dire), alla perentorietà, alla fatica del costruire.
Questa  novità,  che lo scultore,  più  prosasticamente  dichiara d'essergli  stata suggerita e incoraggiata da  amici,  insegnanti con  lui nella medesima scuola, ha disvelato una sensibilità  vibrante alle suggestioni del segno e del colore; ha consentito  il conio  di una nuova lingua, più modulata, più eterea; ha  persino fatto violenza ad una mentalità di lavoratore, secondo cui l'arte non può che derivare da un lavoro lungo e faticoso..(parlare della  scoperta  del disegno come una nuova meraviglia, quale  mi  è stata  appunto  raccontata da Peschi. Evidenziare  l'aspetto  del gioco ed il divertimento che ne consegue. Il divertimento di poter produrre senza particolari assilli, quelli propri della scultura,  relativi alla scelta dei materiali, degli attrezzi  ed  il tempo  necessario. Di produrre in poco tempo, quasi di getto,  in una notte, in una pausa del dormire, una quantità di disegni. Eppoi questi ultimi che costituiscono anche per l'autore una curiosità,   un   divertimento   davvero   forte,   da   non   potersi interrompere.) (12)


                                                 Lucio Del Gobbo


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LE SCULTURE DI UMBERTO PESCHI: UNA MERAVIGLIA CHE NON INVECCHIA

Umberto Peschi si è  mantenuto con l'arte in un rapporto adole¬scenziale.
Una situazione di amore e di alleanza nella quale le solite com¬plicanze che l'esperienza frappone tra aspettative giovanili e realtà  contingente nulla hanno potuto.
Lo scetticismo, il rimpianto, la delusione e tutte le scorie che il tempo accumula intorno all'idealismo e alla gioia della sco¬perta che sono propri del giovane, sono restati a Peschi, nell'ambito della sua professione artistica, del tutto sconosciu¬ti.
La soddisfazione di inventare e di realizzare a propria misura, secondo gusti e sensazioni personali, forme ed architetture attraverso cui guardare e fantasticare, attraverso cui rappresen¬tare le proprie fantasie ed i significati che il vivere suggeri¬sce, per Peschi non è  mai cessata.
Una gioia infantile, ma  non ingenua al punto da essere limitata al mero divertimento, che si è  mantenuta tale pur incrociando  più  e più   volte il dolore, la fatica, l'esperienza esistenziale, diventando anche per questo verità .
I problemi contingenti, tipici di questa nostra società , cosid¬detta del benessere, sono passati sopra all'artista senza coin¬  /5o2  volgerlo se non sollecitandogli un atteggiamento critico.
Peschi ha continuato a giocare con le forme e così  facendo si è  mantenuto fedele a una sua vocazione, di esprimere inventando; per un sollievo personale ma anche con profonda consapevolezza di una utilità  sociale dell'arte.
Conserviamo l'impressione del suo riso fanciullesco nel mostrarci i suoi ultimi lavori; come se la meraviglia della realizzazione non lo avesse ancora abbandonato: un'allegria come da un gioco, senza frivolezza o vanità .
Parlarne, guardarli e sottoporli a un parere, i suoi lavori, continua a dargli una grande soddisfazione.
Il segreto di Peschi è  di far dipendere l'eccezionalità  del risultato artistico non già  dagli espedienti del mestiere, non solo da quella quantità  di piccoli segreti che l'esperienza solitamente insegna e consente di accumulare, ma da un'autentica inventiva: quella che duttilmente asseconda la sensazione e una precisa intenzionalità  espressiva.
Per questo le sue sculture non sono da guardare come semplici oggetti, né  deve sorprendere l'originalità  che le forme, anche se considerate dal lato tecnico-esecutivo, dimostrano ; la curiosità  che prende l'osservatore, attratto dalla geniale lavorazione di esse, indurrebbe facilmente a un equivoco: sono la conseguenza di un modo appassionato di sentire e di esprimere.
La partecipazione a problematiche sociali, la continua riflessio¬ne, il cumulo dei pensieri e dei sentimenti, una decantazione autenticamente intellettuale convertono sistematicamente il pathos in forma.
C'è  un rigore etico, una moralità , alla base di tutta la sua ricerca, e una grande consapevolezza della necessità  di questi valori.
Una serie di sculture, dieci in tutto, realizzata recentemente ha riportato noi, che pure ci consideriamo osservatori piuttosto at¬tenti delle sue realizzazioni, a una presa di coscienza migliore del suo metodo di lavoro; a scuoterci dall'abitudine di conside¬rare le sue forme come cose acquisite, e quindi relativamente consuete, frutto di una programmazione adeguata e di manualità , e non, come invece sono, conseguenza di un'avventura di ricerca appassionata e pragmatica.
Aver assistito alle ansie, alla trepidazione, alla soddisfazione incontenibile, a realizzazione avvenuta, è  stata un'esperienza emozionante, forse irripetibile. Ci piace darne testimonianza ed aggiungere così  una piccola tessera a quel mosaico di riflessioni e di osservazioni critiche accumulatosi sull'opera di Peschi in tanti anni di attività .

                                                 Lucio Del Gobbo



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UMBERTO PESCHI HA COMPIUTO OTTANTA ANNI

Umberto Peschi, lo scultore maceratese che con la sua opera originale e coerente caratterizza la migliore tradizione artisti¬ca marchigiana e nazionale, ha compiuto ottanta anni.
Gli amici, per festeggiarlo, hanno trascorso con lui la serata del 2 luglio a Ripe San Ginesio, ospiti di Silvio Craia e di sua moglie Luciana.
Tra i presenti c'erano il Sindaco e l'Assessore alla Cultura di Ripe San Ginesio,  di cui Peschi è  cittadino onorario, e l'Asses¬sore alla cultura del Comune di Macerata, avvocato Bruno Mandrelli.
Umberto Peschi, visibilmente commosso e felice, ha donato ai presenti una cartolina commemorativa della circostanza, stampata in lito, con un suo disegno riferito alla tematica de "il tarlo".
Tale linea poetica, ormai conosciuta da tutti gli appassionati d'arte, con i suoi significati positivi e negativi di costruzione e distruzione, è  interpretata dall'autore, riguardo a se stesso, nella accezione più  idealistica e serena: lo scavo del legno, l'erosione controllata volta alla costruzione estetica ed espres¬siva che solo la mano capace dell'artista sa dare, è  un simbolo di coerenza e di ininterrotto amore per l'arte, è  la gioia stessa che Umberto Peschi ha sempre espresso anche con la sua umanità .
La nostra redazione si unisce idealmente alla manifestazione augurale degli amici: centro di questi giorni Maestro!   

Lucio Del Gobbo


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RICORDANDO UMBERTO PESCHI

L'opera di Umberto Peschi, lo scultore maceratese recentemente scomparso, ha tutte le prerogative per avere un posto nella storia dell'arte italiana: potrà  essere studiata e documentata anche negli aspetti più  recenti o in quelli ancora inediti del passato: certamente un patrimonio da salvare e perpetuare.
Ma anche la sua umanità  va ricordata; quella corre un maggior rischio d'essere dimenticata.
Umberto Peschi ha amato il lavoro con umiltà  di artigiano, consa¬pevole però  delle proprie doti di inventiva e della propria capacità  espressiva attraverso le forme; era un artigiano illumi¬nato con qualche dono in più : questo egli pensava e confidava agli amici con grande modestia.
Il lavoro artistico gli aveva sempre procurato un grande piacere; manipolare la materia, darle forma, specialmente al legno, creare suggestioni dall'oggetto artistico era il suo "divertimento": è  questa la parola che meglio esprime quella sensazione di gioia che Peschi dimostrava di provare lavorando e confrontandosi con la materia.
La naturalezza di questo approccio, la sensibilità , la fantasia e una capacità  intellettuale non comune, hanno sempre propiziato per lui quel "miracolo" che è  proprio dell'arte, di esprimere, attraverso il lavoro e l'invenzione, sensazioni  profonde, pen¬sieri originali ed intuizioni poetiche.  
Peschi ha evitato la retorica; la consistenza del suo lavoro è  servita anche a questo, gli ha consentito di esprimersi senza dover ricorrere a un' enfasi verbale e a divagazioni che esulas¬sero dalla specificità  dell'opera.
A così  poco tempo dalla sua scomparsa  è  difficile considerare la portata della sua vicenda creativa. Ma esistono le opere e i numerosi documenti che ne testimoniano la storia e l'impegno: le lettere, i cataloghi, i libri, gli appunti che egli ha conservato gelosamente; tutto quel materiale affascinante che amava riguar¬darsi spesso nella solitudine della sua casa, luogo di ricordi e di affetti.
Rileggeva le sue carte, anche in presenza di amici che invitava a trattenersi con lui, e la conversazione era sempre così  aperta e piacevole che l'invito non poteva che essere gradito; sfogliava quelle carte non certo per celebrarsi, ma per ripercorrere con piacere, e certamente con nostalgia, tante esperienze passate: per ricordare gli amici, per avere un'idea equilibrata, oggetti¬va, delle situazioni e dei valori.
L'ansia di conservare il passato, di protrarne gli effetti, è  tipica dell'autentico artista,  Peschi l'ha vissuta soprattutto in vecchiaia; un'ansia tenerissima, piena di umanità  e di poesia.
Tutto questo contemporaneamente al lavoro di ogni giorno, un lavoro che amava, per il quale tralasciava ogni considerazione venale ed opportunistica: una ricerca pura, solo finalizzata alla forma e all'espressione.
L'ultima serie di sculture, il piacere di esporle, la fretta, il timore di non fare in tempo, sono ricordi vivi in chi ne seguiva continuamente l'attività , come  viva è  la sensazione della sua serenità : quella espressione limpida, quasi infantile, che anche oggi  appare la sua  più  vera e rappresentativa.

                                                 Lucio Del Gobbo



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RICORDO DI PESCHI

Il 15 novembre 1992 si spegneva lo scultore maceratese Umberto Peschi.
A seguito di una caduta nella sua casa in Piazza Lauro Rossi era rimasto gravemente infermo e la morte era sopraggiunta dopo diverse settimane dal ricovero in ospedale.
Era stato operoso sino all'ultimo. La sua inventiva, la sua voglia di esprimere attraverso le forme, l'amore per l'esercizio artistico, la considerazione dell'arte come nobilitazione del lavoro manuale sulla materia, erano state le sue regole di vita mai rinnegate.
Peschi è  stato uno degli artisti marchigiani più  coerenti e geniali. Aveva considerato l'arte come un sacerdozio, da seguire con  dedizione assoluta senza calcoli venali e opportunistici: una ricerca appassionata in cui si era trovato coinvolto non solo a livello estetico e formale, ma con tutte le sue risorse intel¬lettuali, morali e poetiche.
L'altezza della sua vocazione è  riscontrabile in tutte le sue opere.
Sebbene presentato in numerose mostre e documentato da recensioni critiche del più  alto livello, il suo lavoro, per complessità ,   vastità  e per la prodigalità  stessa dell'artista, ha subito smembramenti difficilmente recuperabili. Meriterebbe ora, attra¬verso una opportuna ricognizione, di essere studiato e divulgato con rigore  in tutte le sue fasi, non escluse le più  recenti. Le istituzioni che sovraintendono alla cultura della città  dovrebbe¬ro essere sensibili e farsi carico di tale necessità .
Anche le qualità  umane di Peschi hanno lasciato una traccia profonda su generazioni di artisti e nel cuore dei suoi tanti amici.
Varie sono le iniziative sorte spontaneamente per commemorarlo a un anno dalla scomparsa.
Il  Consiglio dei Curatori della Pinacoteca e dei musei civici con il patrocinio del Comune di Macerata ha voluto ricordare lo scultore realizzando una "plaquette" contenente uno scritto che rappresenta il suo testamento artistico e spirituale.
Il 15 novembre, giorno dell'anniversario, la piccola pubblicazio¬ne verrà  presentata alle 17,30 nella "Sala Gigli" del Teatro Lauro Rossi.
Nello stesso giorno, alle ore 16, nel cimitero comunale gli amici potranno raccogliersi intorno alla tomba dell'artista sistemata per loro stessa iniziativa. Su progetto dell'architetto Francesco Marcelletti  e con l'impegno diretto dello scultore Egidio Del Bianco un laboratorio artigiano di Civitanova ha realizzato una scultura in bronzo riproducente un bozzetto che Peschi stesso aveva ideato per la Chiesa della Santa Madre di Dio in Via Bari¬latti a Macerata. La scultura si alza su un basamento marmoreo costituito dalla tomba stessa.
Infine alle 18 e 30 nella Chiesa della MIsericordia  sarà  cele¬brata una messa in memoria e suffragio dell'artista.
Quanti hanno conosciuto ed apprezzato il grande scultore macera¬tese sono invitati a partecipare.

Lucio Del Gobbo

(Pubblicato su Corriere Adriatico)

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L'OPERA DI UMBERTO PESCHI E' PATRIMONIO DI TUTTI E VA SALVAGUARDATA

Il 15 novembre ricorreva il primo anniversario della scomparsa di Umberto Peschi. Varie iniziative ne hanno ricordato la figura e l'opera.
La realizzazione di una scultura per la sua tomba nel cimitero di Macerata, ricavata da un suo bozzetto su iniziativa di alcuni amici; una commemorazione ufficiale alla "Sala Gigli" e la diffu¬sione di un piccolo ma elegante libretto con uno scritto dell'ar¬tista, da parte del Consiglio dei curatori della Pinacoteca, quindi del Comune; una Messa di suffragio nel Santuario della Misericordia, sempre per iniziativa di amici, e poi, in un perio¬do molto prossimo, anche una rassegna d'arte con la partecipazio¬ne di tanti artisti italiani, patrocinata dal Comune di Pollenza e dedicata allo scultore scomparso.
Tutte iniziative lodevoli, che dimostrano quanto vivo sia il ricordo di Umberto Peschi nella sua città , della sua umanità , del   suo magistero artistico.
Ma al di là  di queste testimonianze ispirate spontaneamente da ammirazione e da non sopito affetto, si avverte la necessità  di una decisa presa di coscienza da parte delle istituzioni locali, che il risultato artistico e culturale del lavoro di Peschi, della sua alta vocazione e della dedizione assoluta di tutta la sua vita, non debba perdersi e sia da considerare patrimonio vivo e fruttificante di questa nostra terra. Un patrimonio da conser¬vare con scrupolo e dedizione, da divulgare ben oltre i confini provinciali, perché  l'opera di Peschi lo ha meritato per origina¬lità  e portata.
E' necessario che risulti chiaramente che il livello di sintonia della sua operosità  è  stato almeno di ambito nazionale. La sua partecipazione alla storia della ricerca artistica italiana, come dimostrano i suoi rapporti di amicizia, gli scambi epistolari con critici ed artisti di ogni regione, l'intensa attività  espositiva ed il sostegno critico suscitato, ma soprattutto le opere, ha avuto agganci diretti con la cultura più  avanzata e viva di un lungo periodo, centrale e caratterizzante, di questo secolo.
Coloro che saranno chiamati ad amministrare la cosa pubblica a Macerata dovranno farsi carico della amministrazione e della valorizzazione anche di questa parte di patrimonio cittadino.
In termini concreti dovranno fare in modo che l'opera di Peschi, sia sul piano documentario che oggettuale e fisico, possa essere ricostituita con la maggiore completezza possibile anche a costo di qualche sacrificio finanziario. Si dovrà  pensare ad iniziative che contribuiscano a pubblicizzarla e storicizzarla con adegua¬tezza.
"...se nella vita uno è  convinto delle proprie idee e trova, con semplicità , la forza di svilupparle, non c'è  pericolo di perdere nessun appuntamento. Il tempo difenderà  le sue ragioni e dirà  poi del valore delle sue creazioni.":  sono dichiarazioni che Peschi rilasciò  in occasione di una sua mostra nella Galleria dei Fra¬telli Torresi nel 1981, con la consueta semplicità  e convinzione, come in un testamento; quel testamento che, purtroppo, non ha avuto il tempo di formalizzare, anche se era nota a tutti la sua intenzione di lasciare le proprie opere e persino la sua casa al Comune perché  fossero patrimonio di tutti.
La consapevolezza di Umberto Peschi e la sua grande serenità , avranno bisogno della sensibilità  degli uomini e delle istituzio¬ni per realizzarsi; era implicita in lui questa fiducia: che la storia non fosse tradita dalla noncuranza e dalla trascuratezza di chi è  tenuto a custodirla, di chi è  chiamato a beneficiarne.         

                                                Lucio Del Gobbo


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A POLLENZA RICORDANDO UMBERTO PESCHI

Si è  conclusa con piena soddisfazione degli organizzatori e degli espositori, oltreché  naturalmente della folta schiera dei visita¬tori, la mostra "I segni della memoria", realizzata ed ospitata dal Comune di Pollenza come omaggio ad Umberto Peschi. Comprende¬va opere di ben 150 artisti che da diverse regioni d'Italia e dall'estero hanno aderito all'invito rivolto loro dal pittore Giuseppe Paccamiccio, ideatore dell'iniziativa ed amico di Peschi del quale frequentava da alcuni anni lo studio, di realizzare un'opera di piccolo formato (ragioni logistiche e problemi di allestimento hanno imposto l'uso di un supporto in cartoncino di dimensioni ridotte uguale per tutti) in omaggio al maestro scom¬parso. Il Comune di Pollenza, che di Peschi aveva voluto recente¬mente ricordare le giovanili esperienze di lavoro in aziende artigiane del luogo con una mostra antologica considerata tra le sue più  ampie e complete, ha poi patrocinato l'iniziativa giudi¬candola interessante ed affidandone la presentazione ad Alvaro Valentini, che aveva già  curato l'antologica.
Intorno a qualche opera di Peschi, sculture e disegni, si è  così  formata un'aggregazione di generi e di poetiche della più  varia estrazione con un unico ma consistente elemento di coesione: un sentimento forte e spontaneo di affetto e ammirazione per il mae¬stro maceratese a un anno dalla sua scomparsa.
E questo si è  letto chiaramente nelle opere in mostra, anche se, naturalmente, non tutte contenevano un riferimento specifico alla poetica  e ai modi peschiani (ma ve ne erano comunque diverse che si ispiravano al "tarlo").  
L' originalità  e l'elevato standard artistico di molte opere presenti sarebbero senz'altro piaciuti a Peschi, ma si è  eviden¬ziato da tutte le presenze un significato umano prevalente: la dimostrazione di quella fitta tela di relazioni e di coinvolgi¬menti che manteneva unito Peschi al territorio, in un rapporto di creatività  e in comunione con tanti artisti che anche per questa sua disponibilità  all'incontro lo ammiravano come  amico e mae¬stro.
Gli scritti in catalogo di Valentini e di Goffredo Binni hanno rafforzato questa caratterizzazione affettiva e di umanità  dell'iniziativa.
E' senz'altro augurabile che l'interesse per la figura e l'opera di Umberto Peschi si mantenga vivo ed anzi si incrementi con il doveroso incoraggiamento di quelle istituzioni che sovrintendono alla valorizzazione e alla custodia del patrimonio culturale e di civiltà  di questa terra, di cui Umberto Peschi certamente è  stato un esempio tra i più  alti.
Anche questa iniziativa del Comune di Pollenza potrebbe servire da stimolo ed invito per un tal genere di promozione.

                                                Lucio Del Gobbo

(Gennaio 94)

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L'ARCHIVIO PESCHI

L’iniziativa assunta dall’Associazione Peschi di Macerata, di istituire un archivio generale informatico sull’opera dello scultore da cui prende il nome, per varie ragioni ci sembra importante da indicare agli appassionati d’arte, e soprattutto degna d’esser posta   all’attenzione delle istituzioni culturali marchigiane, siano esse pubbliche che private. In fondo in un sistema di “museo diffuso” come quello che s’intende promuovere nella nostra regione, non possono far difetto le componenti documentarie, e tanto meno quelle che, riguardando il presente o un passato non remoto, rischiano, per una sorta di attempatezza spontanea, di non sollecitudine istituzionale soprattutto a danno di ciò che può sembrare non urgente e rimandabile, rischiano, dicevamo, d’essere trascurate o addirittura cancellate.
In varie occasioni da questa rivista si è lanciato un allarme per l’arte contemporanea, per la mancanza di un sistema, in regione, che ne salvaguardi le sorti storiche e culturali, ebbene questa iniziativa , ed altre analoghe che potrebbero essere assunte, è di quelle che più concretamente si oppongono a tale carenza o temuto destino.
Il caso in questione è dei più tipici.
Umberto Peschi fu un artista di quelli che, spinti da una vocazione creativa impellente, sincera, dedicano tutte le proprie risorse al lavoro, senza preoccuparsi di una adeguata pubblicizzazione  e della storicizzazione di esso, e men che meno, naturalmente, della sua  commercializzazione.
Qualcuno, individuando soprattutto la necessità di una conservazione storica di quel lavoro, data la rilevanza che man mano dimostrava di avere, rimproverava all’artista un’eccessiva noncuranza. Ma Peschi, facendo appello all’idealismo stesso che muoveva la sua ricerca, “Se qualcuno lo riterrà degno”, diceva, “se ne preoccuperà”. E naturalmente quel qualcuno, nella sua coscienza di homo socialis, era innanzitutto individuato nella istituzione pubblica a cui dichiarava di voler lasciare tutto il suo patrimonio: il Comune della sua città. Ma poi la malattia sopraggiunse improvvisa, e non si ebbe il tempo di formalizzare quel progetto. Peschi era solo, dopo la morte del fratello non aveva più famiglia, e dunque i rischi di una dispersione della sua immagine e dell’opera apparvero ancor più evidenti. Tra gli amici che gli erano stati più vicini sorse subito l’idea che una tutela a tal riguardo si imponeva. E si costituì un’Associazione intitolata all’artista e a suo fratello Alberto che con lui era già stato futurista del Gruppo Boccioni.
Dopo la morte di Umberto Peschi, avvenuta, come detto, nel 1992, il Comune di Macerata ha cercato, riuscendovi in parte, di acquisire le opere disponibili sulla piazza, ma  il grosso, ciò che l’artista aveva tenuto con sé, è tuttora  soggetto a successione (esistono dei parenti alla lontana), e nessuna iniziativa, mostra o catalogo, si è attuata nel frattempo per fare in modo che si avviasse una ricognizione cronologica dell’opera.
Questa archiviazione intrapresa dall’Associazione Peschi è appena iniziata, ma, grazie anche ai miracoli dell’informatica appaiono già con evidenza alcuni positivi risultati.
La quantità delle opere desumibile dai cataloghi (alcuni dei quali rari ed ormai introvabili) è considerevole, ed esistono anche, sparse qua e là, numerose fotografie.
Ricostruire una storia dai mille pezzetti che di quella storia risultano è certamente un lavoro di pazienza. Emergono tanti “ma” e tanti “sé”. Non sempre le fotografie documentano perfettamente, non sempre le lettere chiariscono, non sempre i cataloghi e tutto ciò che è stato pubblicato definiscono in maniera univoca. Ci sono discordanze, sulle dimensioni delle opere, sul tipo di materiale usato, sulle date di realizzazione, sulle esposizioni in cui vennero presentate, sulla esistenza ed ubicazione attuali. Tante, tante perplessità. Ma alla fine il bandolo della matassa si va districando, grazie appunto alle fotografie, alle testimonianze, ai ricordi di tanti amici. Ma non c’è da perdere tempo, naturalmente, perché anche questi riferimenti presto svaniscono o si confondono.
L’emozione di tale lavoro di archiviazione e di riordino è la scoperta, o meglio la conferma, che però per le dimensioni che assume è comunque una scoperta, della originalità di questo artista marchigiano: un grande, originalissimo inventore di forme. Pur nella modestia della sua vita e della sua condizione di uomo appartato si dedicava con dedizione e grande attitudine a creare forme che incarnassero pensieri e sentimenti universalmente condivisibili. Senza che quelle forme descrivessero pedissequamente i suoi pensieri e i suoi sentimenti: questo era il vantaggio dell’astrazione, che Peschi, precocemente  ed in tempi di notevole perplessità e dilemma, aveva scelto come suo linguaggio.
Il lungo periodo che egli ha dedicato alla definizione della “poetica del tarlo”, esprime attraverso le tante opere realizzate la sua considerazione dell’uomo, delle sue miserie, delle sue bassezze ma anche delle capacità positive, di costruzione, di ordine, di giustizia. Non è esagerato affermare che, malgrado la laicità che caratterizzava il suo pensiero, da quelle forme emergano anche sensazioni metafisiche. Riguardo alla creatività egli si dichiarava sostanzialmente  religioso, considerandola un dono ricevuto, e come tale da utilizzare, da far produrre. Un operaio che aveva la fortuna e la grazia di inventare e realizzare forme pensando, proponendo, agendo, amando: questo si riteneva Peschi. E questo era il motivo di quell’entusiasmo e di quella serenità che mai lo avevano abbandonato.
Forse di ciò non c’era mai stata prima un’adeguata possibilità di visione, perché il carattere di Peschi lo aveva impedito; quel suo eccezionale carattere, generoso ed umile, che lo portava a dare, e dunque a disperdere,  ed a fare, prima e più ancora che a celebrare.   
L’immagine che viene fuori ora dalla catalogazione si può considerare inedita, perché ne mancava un resoconto visivo unitario e consequenziale di tali dimensioni.
E quanti di questi casi esisterebbero nelle Marche?
Una banca dati che si avvalga di una componente storiografica, ma anche di immagini, della riproduzione fotografica di tutte le opere, è qualcosa che documenta “a tutto campo”, rendendo, anche visivamente, gli aspetti e la progressione di una ricerca, le emozioni e le particolarità, in un modo tale che nessuna mostra e catalogo (perché mai un catalogo avrebbe la stessa duttilità e completezza) potrebbero fare.
A chi può sfuggire l’utilità di un tale strumento? Per l’organizzazione di mostre e la pubblicazione di cataloghi, per qualsiasi tipo di ricerca da parte di studiosi e di studenti nelle università e nelle accademie. E il problema dei falsi? Verrebbe certamente meno la possibilità, tristemente attuale, di speculazioni truffaldine.
Per gli artisti maggiori ci sono i cataloghi di mostre antologiche. Ma veramente tutto risulta documentato? Si ha un’immagine complessiva di autori pure importanti come Licini, Monachesi, Bartolini, Tamburi, Fazzini, Mannucci? O è necessario per ricostruirla fare il giro del mondo?
Non sarebbe questa una parte determinante del costituendo “museo diffuso”? Non riguarderebbe questa incombenza in primo luogo le istituzioni pubbliche?
Sono domande, ma anche provocazioni a fare, a sensibilizzare, a tramandare (domande che non esonerano naturalmente anche le associazioni ed i privati a produrre ogni sforzo per conseguire un risultato quanto più completo e soddisfacente possibile).
Tutto questo per una cultura, per una identità e una consapevolezza che non dovranno essere altri, da fuori, a ricordarci.

Lucio Del Gobbo



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UNA SCOPERTA CHE È UNA CONFERMA: UMBERTO PESCHI STRAORDINARIO INVENTORE DI FORME

"Non credo che si trovino cose più  affascinanti dell'Arte. La vita di un uomo che affronta con coscienza e coraggio questo pro¬blema, viene, senza rendersene conto, assorbita. La mia avventura è  stata meravigliosa, ho scelto il legno come materiale per la scultura, anzi potrei dire, è  il legno che ha scelto me. Natural¬mente sono trascorsi anni di intenso lavoro prima di addomestica¬re questo materiale che esige una forte manualità .... Oggi mi trovo a combattere con il " percorso del tarlo "; un tema che mi appassiona da molti anni, magicamente, e tento di comple¬tarne la lettura. Il tarlo distrugge il legno con metodo, total¬mente, ed è  la morte; lo scultore prendendo come modello il tar¬lo, ma non distruggendo, anzi, sensibilizzando questo suo lavoro, può  creare opere meravigliose, piene di spazi, aria, luce: ciò  è  vita. "
Queste poche frasi stralciate, sommariamente e senza troppo or¬dine, da uno scritto di Umberto Peschi, rivelano efficacemente quale sia stato lo spessore dell'uomo e dell'artista. Semplicità, passione ed un forte senso etico nel lavoro, uniti ad una riservatezza ed un pudore tutti marchigiani, hanno fatto di lui un personaggio ed un riferi¬mento per tanti artisti.
Il lavoro, Peschi, lo ha amato con umiltà  di artigia¬no, consapevole però  delle proprie doti di inventiva e di espressività; un artigiano illuminato che ha avuto dalla  sorte qualche dono in più: questo egli pensava di sé, e questa consapevolezza la confidava solo agli amici più  intimi, con grande modestia.
Modellare la materia, darle foggia, specialmente al legno, inventare forme, situazioni, oggetti, era per lui un intenso "divertimento": è  questa la parola che meglio poteva esprimere la gioia che Peschi dimostrava di provare, sempre quando operava. Negli ultimi anni, per le precarie condizioni di salute, la scultura non gli era possibile praticarla, e dover ripiegare sul disegno gli procurava un po’ di disappunto, e in qualche momento tristezza. Una serie di piccole sculture realizzate negli ultimi tempi, dopo un periodo di convalescenza, costituì per lui una vittoria, una specie di ritorno alla vita. E se avesse avuto il tempo l’avrebbe festeggiato questo “ritorno” con una mostra.
La spontaneità dell’approccio con la materia, unita a una capacità intellettuale straordinaria, perché semplice ma al tempo stesso profonda, propiziavano nella sua ricerca quel "miracolo" di originalità e di intuizione sorgiva che è sempre l'arte.  Eppure nei suoi atteggiamenti non c’era ombra né di presunzione né di retorica; la consistenza del lavoro lo esentava dalle necessità delle parole e dell’enfasi, così frequente in altri. E l’impressione era di estrema serenità: una situazione di amore e di alleanza nella quale le solite com¬plicanze che l'esperienza frappone tra aspettative e verifica venivano meno. Lo scetticismo, il rimpianto, la delusione e tutte le scorie che il tempo solitamente accumula intorno all'idealismo e alla gioia della sco¬perta che sono proprie dei giovani, hanno risparmiato Peschi sino alla vecchiaia. E si può dire che la soddisfazione di inventare e di realizzare a propria misura, secondo gusti e sensazioni personali, forme ed architetture attraverso cui guardare e fantasticare, con cui rappresen¬tare le fantasie e i significati del vivere, non gli sia mai venuta meno: una gioia infantile, ma  non ingenua, che si era mantenuta tale pur incrociando  più  e più   volte il dolore, la fatica, e diventando anzi per questo verità.
I problemi tipici di questa nostra epoca del benessere, sono passati sopra all'artista senza coin¬volgerlo minimamente, sollecitandogli piuttosto un atteggiamento critico, di difesa e di impegno. La televisione gli serviva per informarsi e per vedere qualche bel servizio sull’arte. Dei giornali selezionava solo qualche articolo ritagliandolo e mettendolo da parte, il resto via. Il telefono, nemmeno a parlarne! La regola era: semplicità, non rendersi in alcun modo schiavo del consumismo. E quel suo avvincente gioco, di esprimere inventando, al di là del sollievo immediato che gli procurava, non sminuiva mai la consapevolezza di una utilità  “sociale” dell'arte. C'era un rigore etico, una moralità, alla base di tutto il suo operare, e la convinzione della necessità  di questi valori.
A considerarla oggi, l'opera di Umberto Peschi, dimostra di possedere tutte le prerogative per un posto di rilievo nella storia dell'arte italiana. Ed è necessario che risulti chiaramente che il livello di sintonia della sua operosità  è  stato almeno di ambito nazionale. La sua partecipazione alla storia della ricerca artistica italiana, come dimostrano i suoi rapporti di amicizia, gli scambi epistolari con critici ed artisti di ogni regione, l'intensa attività  espositiva ed il sostegno critico suscitato, ma soprattutto le opere, ha avuto agganci costanti con la cultura più  avanzata e viva di un periodo centrale e caratterizzante di questo secolo.
È un peccato, davvero una imperdonabile negligenza, l’aver trascurato nella mostra storica sull’Art Club, che si è tenuta recentemente a Vicenza, il nome di Umberto Peschi. A quel clima di sviluppo artistico, “svincolato da pressioni politiche e di mercato” che il gruppo aveva instaurato in Italia tra gli anni ’40 e ‘60 Peschi aveva concorso da egregio comprimario, con l’incoraggiamento dello stesso Prampolini.
Recentemente si è presa un’iniziativa, di istituire un archivio generale informatico sull’opera dello scultore. Già quando l’artista era vivente, qualcuno, individuando soprattutto la necessità di una conservazione storica del suo lavoro, data la rilevanza che man mano esso dimostrava di avere, gli rimproverava un’eccessiva noncuranza. Ma Peschi, facendo appello all’idealismo stesso che muoveva la sua ricerca, “Se qualcuno lo riterrà degno”, diceva, “se ne preoccuperà”. E naturalmente quel qualcuno, nella sua coscienza di homo socialis, era innanzitutto individuato nella istituzione pubblica a cui dichiarava di voler lasciare tutto il suo patrimonio: il Comune della sua città. Ma poi la breve malattia e la morte sopraggiunsero improvvise, nel novembre del 1992, e non si ebbe il tempo di formalizzare quel progetto. Peschi era solo, dopo la scomparsa del fratello non aveva più una famiglia, e dunque i rischi di una dispersione della sua immagine e dell’opera apparvero ancor più evidenti. Tra gli amici che gli erano stati più vicini venne l’idea che una tutela a tal riguardo si imponesse. E si costituì un’Associazione intitolata all’artista e a suo fratello Alberto che con lui era già stato futurista del Gruppo Boccioni.
Questa catalogazione, oggi appena iniziata, grazie anche ai miracoli dell’informatica mostra già con evidenza alcuni positivi risultati.
La quantità delle opere desumibile dai cataloghi (alcuni dei quali rari ed ormai introvabili) è considerevole, ed esistono anche, sparse qua e là, numerose fotografie.
Ricostruire una storia dai mille pezzetti che di quella storia risultano è certamente un lavoro di pazienza. Emergono tanti “ma” e tanti “sé”. Non sempre le immagini documentano perfettamente, non sempre le lettere chiariscono, non sempre i cataloghi e tutto ciò che è stato pubblicato definiscono in maniera univoca. Ci sono discordanze, sulle dimensioni delle opere, sul tipo di materiale usato, sulle date di realizzazione, sulle esposizioni in cui vennero presentate, sulla esistenza ed ubicazione attuali. Tante, tante perplessità. Ma alla fine il bandolo della matassa si va sbrogliando, grazie alle opere tuttora reperibili, alle fotografie, alle testimonianze, ai ricordi di tanti amici. Ma non c’è da perdere tempo, naturalmente, perché tanti di  questi riferimenti sono presto destinati a svanire e confondersi.
L’emozione di tale lavoro di archiviazione e di riordino è la scoperta, o meglio la conferma, che però per le dimensioni che assume è comunque una scoperta, della capacità di questo artista marchigiano d’essere originalissimo inventore di forme.
Il lungo periodo che egli ha dedicato alla definizione della “poetica del tarlo”, esprime, attraverso le tante opere realizzate, la sua considerazione dell’uomo, delle sue miserie, delle sue bassezze ma anche delle capacità positive, di costruzione, di ordine, di razionalità.
Forse, prima di ora, non c’era mai stata una tale possibilità di resoconto, perché il carattere di Peschi lo aveva impedito; quel suo carattere, generoso ed umile, che lo portava a dare, e dunque a disperdere,  e a fare prima e più ancora che a celebrare.
L’immagine che viene fuori ora, da questa analisi visiva così ampia e particolareggiata, può considerarsi inedita. Dai giovanili ritratti di genere realista, alle sintetiche e idealistiche forme del periodo tardo futurista, alla lunga stagione astratta, in cui stimoli costruttivisti  si ripartiscono, e trovano sfogo, in un programmato modularismo così come in una libera e plastica spazialità non priva di allusioni espressionistiche: tutto è documentato dalle opere.
La già vasta letteratura esistente, per effetto di queste nuove opportunità di verifica, potrà arricchirsi di ulteriore riflessione, con  interessanti possibilità di approfondimento e puntualizzazione.

Lucio Del Gobbo


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LEZIONE D’ARTISTA

Chi ha conosciuto Umberto Peschi di persona sa come la sua vita, il suo modo di essere e di pensare fossero funzionali al suo lavoro artistico, e come si integrassero anche negli esiti di questo. La sua prima originalità consisteva proprio in tale capacità di far coincidere operatività e pensiero, pensiero e vita. Una distinzione tra la sua vicenda umana e l’opera sarebbe stata impossibile, come oggi, nel ricordo,  appare impossibile stabilire un confine tra il personaggio e l’artista.
Aveva fatto dell’arte un sacerdozio, come egli stesso soleva dire, e s’era voluto abbandonare a questa sua vocazione con libertà e dedizione totalizzanti, senza che necessità ed obblighi interferissero. Anche in termini pratici si era organizzato la vita perché questa “disponibilità” esistesse in qualsiasi momento, al punto che, nel pieno della notte, avrebbe potuto alzarsi ed abbozzare una forma o un’idea che gli era venuta in mente. Questa era una libertà cui aspirava; un legame di convivenza, pensava, l’avrebbe certamente limitato. E naturalmente a questa libertà se ne affiancavano altre, come la libertà di amicizia, la libertà dal denaro, la libertà dalle convenzioni del mercato e da tutti i vincoli connessi.
Nella vecchiaia non avendo nessuno avrebbe dovuto sentirsi solo. Suo fratello, con cui aveva coabitato dopo la morte dei genitori,  era scomparso prematuramente, eppure, sebbene affezionatissimo egli non s’era abbandonato a tristezze limitanti. Quasi  non sapeva che cosa fosse la solitudine, aveva amici e contatti ovunque, e soprattutto aveva l’amicizia dell’arte: nella sua mente c’era sempre quell’amore costante, e poi tutti gli altri che l’arte stessa gli procurava di periodo in periodo.
Peschi aveva una casa grande, piuttosto fatiscente e dimessa, articolata in ambienti, come fosse un piccolo borgo. A lui piaceva così, divisa in situazioni. Essa conservava e nascondeva cose e ricordi. Alcune stanze restavano chiuse per mesi, ma c’era l’aspettativa che riaprendole rivelassero tesori dimenticati. E il tesoro che contenevano erano le opere che vi si trovavano accantonate e disperse, sia degli amici che di Peschi stesso. Si può dire che non ci fosse confine tra la sua casa e le viuzze circostanti. La porta era spesso aperta ed egli usciva e rientrava come se non esistessero muri o chiusure a dividere, ma un’assoluta continuità. Anche gli amici la frequentavano con disinvoltura; bastava lanciare un richiamo da basso, cominciando a salire l’impervia scala, per avvertire che si stava arrivando, e si era sicuri di non disturbare, perché la sua cordialità era tale che il dubbio non poteva neanche sfiorarti. Ma poi, egli rassicurava, non c’era niente di così inderogabile in ciò che stava facendo al momento. Il colloquio che subito si stabiliva, lo scambio dei pareri, non lo distoglievano più di tanto: la sgorbia non aveva bisogno di particolare attenzione per muoversi e intagliare con velocità e precisione. Se poi stava disegnando parlava tenendo il pennino ben fermo, esatto come se stesse compitando, e tuttavia  non estraniato o distratto.
La giornata di Peschi aveva i suoi ritmi. Le prime attenzioni, al mattino, erano dedicate agli animali, ospiti in casa o frequentatori esterni. I pappagallini erano coinquilini “alla pari”. Le pareti recavano qua e là i segni dei loro piccoli bisogni e nessuno si sognava di cancellarli. Era il loro modo “scrivere” sui muri domestici le loro piccole storie. Ne avevano facoltà. Ma c’erano anche piccioni che entrando o bussando sui vetri del suo laboratorio, quello munito di bancone, che meglio si adattava ai lavori di intaglio, reclamavano cibarie. Poi, subito fuori del portone si adunavano i gatti della via e dintorni a questuare anch’essi le loro razioni.
Dopo aver assolto a tutti questi “doveri”, l’acquisto del giornale era una specie di rito. Prima di sfogliarlo personalmente dava diritto di precedenza a qualche amico di passaggio o ai vicini che trovava seduti sull’uscio di casa; quelli già  sbirciavano i titoli al suo approssimarsi. Tutto era motivo di incontro e di colloquio. Ma non c’era bisogno di premesse. Ognuno aveva un “pacchetto” di opinioni già noto, e sulla scorta di quello argomentava. Le contrapposizioni non erano mai aspre. C’era tutta una storia di buon vicinato che le calmierava e le disciplinava. Ancora qualche saluto e poi al lavoro. L’informazione più approfondita riguardava l’arte, letta su libri e riviste specializzate. Su questa era ferratissimo ma aveva pochi interlocutori. Né egli ne cercava se non fossero stati degli addetti ai lavori. Agli amici che non ne sapevano più di tanto, veniva incontro intuendone la curiosità; dava qualche piccola spiegazione e aveva il vezzo di dimostrare come quel che egli faceva godesse di stima e apprezzamento anche da parte di persone importanti. Ma non c’era mai superbia o vanità nelle sue asserzioni; cercava soprattutto di far capire la serietà del suo impegno.
In casa passava qualche donna ad aiutarlo ad ore, magari quando lui non c’era in modo di avere maggior libertà di azione. Una delle ultime che ricordo, una donna non giovane che limitava il suo compito a poche e determinate faccende, s’era operata alle corde vocali e non poteva esprimersi a voce. Che lui fosse presente o no, gli scriveva brevi messaggi su biglietti che deponeva in evidenza sul tavolo. Erano comunicazioni riferite al lavoro eseguito o piccole rivendicazioni riguardanti i compensi, ma non mancavano commenti sui fatti del giorno. Peschi faceva una raccolta di questi biglietti, quasi fosse un diario o un carteggio a distanza. Ma una volta salite le scale del laboratorio dislocato sui piani alti c’era solo il lavoro, finalmente! un lavoro senza tempi né date, come un gioco infinito.
Questo era il menage di Peschi negli ultimi anni. Questi il suo carattere, la sua semplicità, la sua libertà. E così era sempre stata anche la sua arte, aperta, libera, senza obblighi e confini. Era ben ferma in lui la consapevolezza che fosse una cosa importante, la cosa più importante della sua vita; capace di favorire e trasmettere cose a loro volta importanti: insomma, una fede! Che ci fosse o no occasione di professarla a parole, nel segreto una fede forte e radicata come la vita stessa.
La persistenza dell’idea del tarlo, per tanti anni, aveva dato titolo a questa sua fede, assumendo fisionomia oscillante tra luci ed ombre, tra pieni e vuoti, proprio come è la vita.
Forse era stata un’idea casuale, ed anche la prima definizione ed il nome dell’insetto che ne figurava protagonista  erano venuti per caso. Ma poi aveva preso piede nel suo animo, acquisendo consistenza di poetica. Al di là delle teorizzazioni dietro a quel tarlo c’era un sistema filosofico e di immagini articolato e complesso. Egli aveva cercato di spiegarlo a più riprese, ma sono sicuro che quel che diceva era ben poca cosa rispetto a quel che intendesse poi nel fare. Aveva consapevolezza che per la riuscita di un'opera si dovesse attuare un coinvolgimento completo delle virtù  consce ed inconsce dell'artista. Anche per questo diceva che nulla avviene per caso, né  si può  fare un capolavoro in due minuti; a monte di ogni creazione c’è una storia che dipende, oltre che dall'esperienza dell’autore, anche da una fatalità: le sorti di un’avventura d'intuizioni e di scoperte. Ripensando molto in generale al lavoro di Peschi mi accorgo che egli ha operato nell'arte come "ricercatore di equilibri". Tutta la sua ricerca è  impostata su questo: esprimere attraverso forme o combinazioni di forme, un ideale di equilibrio, di ordine, di razionalità. Anche quando tale logica appare contraddetta da elementi di contrasto, questi sembrano inseriti con funzione di catarsi, per indicare la contrad¬dizione delle logiche umane, i limiti e le perversioni che la storia frappone.
Gran parte della sua poetica del "tarlo" ruota attorno a queste sensazioni, e alla convinzione che l'arte abbia in sé la capacità  di trascendere la realtà  percettibile, attraverso un'ascesi della materia e della forma. In fondo, il suo stesso rifuggire dalla figura e quindi da una concezione iconica dell'espressione, sembra suggerito da questa esigenza di vedere e di dimostrare al di là  del visibi¬le, significati più  profondi e altrimenti non raggiungibili.
La scultura di Peschi che conservo in salotto, quella forma verticale, quasi totemica, "tarlata", simmetrica ma scomponibile e trasformabile, di forte bugnato, aspra eppure accattivante, quella forma, dicevo, che osservo nelle diverse ore del giorno e della sera, con la luce del sole o di una lampada, come tante altre che ho in mente, specie se appartenenti al periodo centrale della sua ricerca, mi appare drammatica come i peggiori guai che conosca, ma anche razionale e determinata come le cose più  giuste e sacrosante in cui creda. Peschi l'ha inventata, sicuramente dopo tanta riflessione, con la consueta ansia e passione. Ci ritrovo, oltretutto, quella sua attenzione di valenza etica e sociale, e una dimensione universalistica, una emblematicità che egli cercava in ogni forma.
L’avrà osservata lavorandoci nella penombra delle sue stanze e nella fioca luce del suo laboratorio, accostata ai suoi poveri mobili in un ambiente apparentemente spento e muto. Eppure ne aveva già considerati gli aspetti e un’infinità di significati che io, lentamente, riesco a scoprire attraverso i giorni, gli anni e le situazioni.
La sua lezione continua, ed è lezione d’artista.

Lucio Del Gobbo



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UMBERTO PESCHI E LA POETICA DEL TARLO

Nella ricerca di Umberto Peschi è a partire dalla seconda metà degli anni sessanta che si colloca la prima idea della cosiddetta “poetica del tarlo”. Per l’artista erano anni di grande fervore operativo, ed anche di intensa partecipazione espositiva, sia in collettive, aggregato a gruppi in cui si trovava inserito per affinità di visione, sia in mostre personali. Gli entusiasmi della sua esperienza futurista erano naturalmente scemati da tempo e s’era rafforzata la consapevolezza della necessità di un maggior coinvolgimento dell’arte, in particolare della sua arte, nelle problematiche sociali ed anche in senso filosofico. La riflessione portava il suo naturale ottimismo a qualche incrinatura; si evidenziava nella sua coscienza di individuo un disagio crescente: seguendo le vicende politiche e sociali gli risultava ancor più evidente la fatica esistenziale, del vivere, e l’alternarsi di costruzione e corrosione che si compie fatalmente nella storia umana. È sulla scorta di tale considerazione che nacque l’idea del tarlo. Forse era stata un’immagine suggerita dal caso, come l’assunzione del nome dell’insetto che ne figurava protagonista. Ma poi aveva preso piede nel suo animo, acquisendo consistenza di poetica. Al di là delle teorizzazioni dietro a quel tarlo c’era un sistema filosofico e di immagini articolato e complesso. Peschi aveva cercato di spiegarlo a più riprese, ma sicuramente quel che diceva era ben poca cosa rispetto a quel che intendesse e sperimentasse poi nel fare. Aveva consapevolezza che per la riuscita di un'opera si dovesse attuare un coinvolgimento completo delle virtù  consce ed inconsce dell'artista. Anche per questo diceva che nulla avviene per caso, né  si può  fare un capolavoro in due minuti; a monte di ogni creazione c’è una storia che dipende, oltre che dall'esperienza e dalla volontà dell’autore, anche da una fatalità: le sorti di un’avventura d'intuizioni e di scoperte configurabili come “destino”.
Ripensando molto in generale al lavoro di Peschi ci si accorge che egli ha operato nell'arte come "ricercatore di equilibri" in contrasto, in opposizione ideale al fatale determinarsi di situazioni caotiche sia in senso individuale, psicologico che storico. Tutta la sua ricerca si impostava su questo: esprimere attraverso forme o combinazioni di forme, un concetto di equilibrio, di ordine, di razionalità; anche quando tale logica appariva contraddetta da elementi di contrasto e di disordine questi sembrano inseriti con funzione di catarsi, per indicare la contrad¬dizione delle logiche umane, i limiti e le perversioni che la storia frappone.
Gran parte della sua poetica del "tarlo" ruota attorno a queste sensazioni, e alla convinzione che l'arte abbia in sé la capacità  di trascendere la realtà  percettibile, attraverso un'ascesi della materia e della forma, sino a porsi emblematicamente a modello ideale. In fondo, il suo stesso rifuggire dalla figura e quindi da una concezione iconica dell'espressione, sembrava suggerito da questa esigenza di vedere e di dimostrare al di là  del visibi¬le, significati più  profondi altrimenti non raggiungibili.
Le sue sculture a forma verticale, quasi totemica, "tarlate", simmetriche ma scomponibili e trasformabili, appaiono drammatiche e con un destino di sfacelo, ma anche razionali e determinate come le cose più  giuste e sacrosante a cui credere. Si ritrovano in esse quella sua attenzione di valenza etica e sociale, e una dimensione universalistica: quella emblematicità appunto che egli cercava di imprimere in ogni forma.
Le aveva osservate lavorandoci nella penombra delle sue stanze e nella fioca luce del suo laboratorio, quelle forme, accostate ai suoi poveri mobili in un ambiente che ad altri poteva apparire spento e muto. Eppure ne aveva già considerati gli aspetti e quella miriade di significati che solo nel tempo la nostra visione di osservatori un po’ miopi riesce a captare.

Lucio Del Gobbo


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Dal catalogo I Luoghi della Scultura per la rassegna Treia 88 – Incontri Internazionali d’Arte, Treia, 9-17 luglio 1988

Umberto Peschi ama giocare con le forme. Le inventa, le rimugina, le osserva nel loro evolversi, con la curiosità e lo stupore di un bambino; lo stesso senso della scoperta, la stessa freschezza e sensibilità, ma non certo l'ingenuità. Un qualsiasi materiale, il cartone, il legno, il metallo in fili o in barre, è adatto per invogliarlo al gioco, ma non si considera un designer, ne lo interessa tout court il concetto di «arte applicata". «In fondo, io sono un operaio, un fabbro, un falegname, un idraulico, che anziché «utilizzare" i materiali, anche nel senso di renderli utili, ci gioca. Forse per questo ci sto in maggiore confidenza, ed essi mi dicono delle cose e mi rivelano la loro bellezza". Ma dietro a questa disposizione ludica c'è dell'altro, ci sono altri stimoli che egli tralascia di analizzare ma ai quali volentieri si abbandona: l'intento, ad esempio, di accelerare e di verificare il senso della propria esperienza umana oltreché artistica, la ricerca dei nessi con altre vicende, esistenziali, politiche, sociali. Una fusione di arte e vita che assiduamente si realizza rivelando quella visione umanistica che l'opera di Peschi esprime con assoluta continuità dai tempi della sua prima scelta artistica. Tutto riguarda solo e sempre l'uomo. La poetica del «tarlo" che costruendo distrugge e distruggendo costruisce, nella sua dialettica contrapposizione di forma e senso, riassume lo stato anche drammatico di positività e negatività del “suo” dibattersi; la conformazione delle “sue" dimore, si considerino al riguardo le torri lignee che costituiscono la più recente produzione di Peschi, come nella biblica Babele, rende la dimensione delle “sue”, aspirazioni ma al tempo stesso delle “sue" vanità. Concetti e sensazioni che si dipanano nelle opere dell'artista maceratese, senza concitazione, in virtù di un sostanziale ottimismo, con i benefici di una attitudine splendidamente ibrida di empirismo e razionalità

Lucio Del Gobbo

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Dal catalogo della mostra "Umberto Peschi -  Modularmente - Anni 60" a cura di Enrico Crispolti - Macerata Centro storico - luglio-agosto 1990- Il testo è pubblicato nello stesso anno nel catalogo del Premio Marche, Rassegna Nazionale, Ancona  1990, De Luca Edizioni d’Arte

PENSARE, COSTRUIRE, ESPRIMERE E "VIVERE"

Affermare che Umberto Peschi trova nella scultura e nella ideazione artistica in generale, il giusto, l'unico modo a lui possibile, di pensare, di costruire, di esprimere e, in una parola, di "vivere" con adeguatezza e benessere il proprio tempo esistenziale, potrebbe sembrare cosa troppo generica ed enfatica, eppure, l'entusiasmo, lo stupore e la gioia che a lui procurano il lavoro, con le sue necessità di applicazione sia tecnologica che manuale, e, infine, la forma raggiunta, dimostrano a chi ha modo di conoscerlo e seguirne costantemente l'attività e gli umori, che questa è la pura verità. Deriva forse da tale constatazione una impressione di positività che, riguardando tutta la sua produzione, dalla fine degli anni trenta ad oggi, non è mai smentita ed appare anzi come caratteristica genetica di ciascuna opera. La stessa poetica de "il tarlo", sulla quale tanto ha insistito, ed opportunamente, lo scultore maceratese, a ben guardare, pur nella contrapposizione dialettica di bene e di male, di aggregazione e di disfacimento che sempre propone, si risolve essenzialmente nel costruire, perché mai una forma di Peschi è inquinata e traviata da un episodio negativo che non risulti poi finalizzato ad un intento di costruzione. Il "costruttivismo", da concezione tecnica e di linguaggio collegata ad un periodo artistico, da stereotipo, per così dire, storico, nell'opera di Peschi diventa filosofia "portante", ineliminabile stimolo creativo. La valenza architettonica di forme, seppure minime, realizzate da Peschi in periodi diversi, come rivelato da questa sorprendente operazione di "ingrandimento" che ha coinvolto l'intero Centro Storico di Macerata, è essa stessa dimostrazione chiara di tale impronta filosofica. Nonostante il benessere interiore ed il sereno entusiasmo da cui i lavori di Peschi scaturiscono, mai e poi mai si prestano a una sensazione di amenità. Né corrono assolutamente il rischio di apparire solo accattivanti, collegati come sono a una logica geometrica complessa che in qualche modo rappresenta le implicazioni ed i significati profondi del vivere, non tralasciando mai nella loro espressività, di rendere anche la crudezza ed il dramma che pure alimentano l'umana realtà. Nelle sue forme di individuano allo stesso tempo la complicatezza e la semplicità, un'attenzione analitica sia per la superficie che per la struttura ed una soluzione di sintesi che infine prevale e disciplina il tutto. Le realizzazioni di Umberto Peschi vivono di questo equilibrio ed in esso trovano la bellezza ed una misteriosa parvenza di classicità.

Lucio Del Gobbo

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UNA MADONNA LIGNEA DI UMBERTO PESCHI

La statua, alta circa 160 cm., secondo l'attuale parroco della Parrocchia di San Michele Arcangelo di Ripe San Ginesio, Don Ottaviano Tordini, è  un'"Addolorata" (comproverebbe tale ipotesi il fatto che la cappella che la ospita reca una ricca decorazione pittorica, opera di Lamberto Massetani, con due scene che riguar¬dano l'Annunciazione e una Crocifissione con Madonna e S. Giovan¬ni: due temi che trovano logico sviluppo nella fase estrema del dolore materno, quello più  profondo e consapevole vissuto nel raccoglimento della solitudine; secondo Mariano Apa, che menziona l'opera nel catalogo "Cantiere Loreto", invece, si tratterebbe di una "Madonna Pentecostale" (anche questa interpretazione trove¬rebbe conforto nel fatto che la nicchia che accoglie la statua presenta nel suo cavo delle fiammelle dipinte che richiamano una iconografia tradizionalmente riferita allo Spirito Santo). Rimane dunque l'incertezza.
L'opera fu commissionata ad Umberto  Peschi verso la metà  degli anni 60 dal parroco di allora Don Tarcisio Marinozzi, al fine di sostituire un'altra immagine di Madonna, che, secondo una usanza diffusa, aveva modellata soltanto la testa, ed il resto del corpo formato da un bastone di sostegno rivestito da un lungo abito ricamato. Fu data dalle Curia disposizione a non esporre al culto immagini di quel tipo, ed il parroco ricorse a Peschi per la realizzazione di una statua completamente scolpita in legno.
La nuova immagine non incontrò  subito il favore dei fedeli, forse per una consolidata devozione nei confronti della precedente, considerata ormai familiare.    L'opera di Peschi è  scolpita in forme essenziali, con uno stile sobrio che nulla concede alla espressività  un po' retorica che di solito caratterizza questo tipo di immagini mariane, e si capisce come tale semplicità  non la renda del tutto gradita ai parroc¬chiani ancora oggi.
L'opera è  realizzata con molto scrupolo, ed una discreta eleganza soprattutto nel panneggio delle vesti. Dimostra invece qualche impaccio sul modellato del volto: l'espressione è  piuttosto statica; in particolare gli occhi presentano l'iride inciso leggermente, quasi privo di pupilla; lo sguardo, rivolto all'in¬sù , ha poca intensità  e vivezza. Questi particolari sono meno ravvisabili a distanza, tanto che, di lontano, gli occhi sembre¬rebbero chiusi.
La sobrietà  delle linee e l'essenzialità  dell'espressione corri¬spondono a un modo di interpretare di Peschi.
Ha influsso su ciò   una certa sua visione laica; quel suo modo di rapportare personaggi e vicende religiose a una realtà  attuale, popolare, che  specialmente configura aspetti del vivere sociale. Vengono in mente a tale proposito alcune sue composizioni di croci riferite alla tematica del "tarlo". Una di queste è  stata poi scelta per la sua tomba.
L'immagine mariana è  dunque rappresentativa di Peschi soprattutto nei particolari ricordati, ma non corrisponde certo alla sua ricerca più  caratteristica ed originale, vocata all'astrazione, al geometrismo e ad una modularità  di elementi (si consideri a tal proposito la produzione astratta di quegli anni). Questo sembrerebbe un lavoro a parte, fatto per accondiscendere a una richiesta.
Eppure Peschi, in occasione di una visita a Ripe San Ginesio - Comune che gli aveva offerto le chiavi simboliche della città  (una chiave in ferro costruita da Wladimiro Tulli) e la cittadi¬nanza onoraria -  ci tenne a mostrarla a chi scrive, con un certo orgoglio, quasi meravigliandosi che non la conoscesse già .
Ricordando ciò , ed osservando l'opera, è  facile ritrovarvi alcune caratteristiche di umanità  di Peschi, la sua semplicità , la modestia, l'umiltà  e una propensione alla accondiscendenza bona¬ria.
Certamente non aveva saputo dire di no al parroco che gli aveva commissionato la statua; forse non aveva neppure pensato che la richiesta avrebbe comportato una soddisfazione artistica, o non si era posto addirittura il problema. Fatto è  che alla fine, per il lavoro e la dedizione che l'opera aveva richiesto, se ne dimostrava soddisfatto, e non osava trascurarla, avendone rispet¬to come per una persona: una delle sue creature. Mostrandola infatti sembrava soprattutto pago di un risultato:  di aver assolto a un impegno con serietà  e mestiere, come si richiede ad un onesto lavoratore, profondendovi tutta la sua capacità  di intagliatore e l'esperienza di tanti anni con il legno.
Peschi era se stesso in ogni circostanza; non lo sfiorava neanche la malizia di un atteggiamento ostentato, di circostanza.
Non che gli mancasse la sottigliezza per capire dell'arte certe suggestioni legate anche al comportamento di chi la produce, e quindi richiamarsi a pose un po' snob, così  consuete in  artisti   di una certa fama. Semplicemente non ne vedeva la necessità  per sé ; considerava l'arte cosa troppo seria ed essenziale, ed i mezzi per conseguirla degni della stessa attenzione; qualsiasi ostentazione avrebbe nociuto a tale dignità .
Ora la sua opera staziona in permanenza entro una nicchia, (apprezzata dal parroco sino al punto da esserle evitato il "disagio" ed il pericolo di una itineranza nelle processioni) ma quasi oscurata nella sua identità  artistica ed oggettuale da pur legittimi sentimenti di culto e devozionali; nella storia della chiesa che la ospita, come immagine è  forse ancora sentita estra¬nea, poco più  che un ricordo di quella venerata in altri tempi.
Anche la storia di Peschi  non è  conosciuta come dovrebbe, e per questo anche un po' trascurata: un'impressione, questa, vera o presunta che sia, che attraverso la statua ci richiama in modo ancor più  intimo e commovente il ricordo di Umberto, più  che in altre opere e circostanze.
L'attuale mostra, attraverso la disponibilità  del parroco e la sensibilità  dei promotori, con la visione ravvicinata e la possi¬bilità  di contatto, favorisce un recupero di attenzione insperato e straordinario nei confronti di un oggetto artistico così  atipi¬co, che incarna un brevissimo capitolo, e però  tanto vero, della storia del suo autore.

Giugno 1996                                      

Lucio Del Gobbo






 
    Associazione culturale "Alberto e Umberto Peschi" per le Arti Visive  - 62100 Macerata, via G.Verdi 10A;  email:  associazionepeschi@virgilio.it
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